COMUNICATO
SINDACALE DA CONFEDERAZIONE USI UNIONE SINDACALE ITALIANA
Fondata
nel 1912 – Italia
“L’ACCORDO DEL 10 GENNAIO 2014 SU
RAPPRESENTANZA SINDACALE (firmato da segretari confederazioni Cgil Cisl Uil e
Confindustria associazione datoriale del privato, VIOLA PRINCIPI E DIRITTI
CARTA COSTITUZIONALE ITALIANA (articoli 2, 3 e 39 1° comma), LEGGE 300 DEL 20
MAGGIO 1970 detta STATUTO DEI LAVORATORI e si pone in contrasto con sentenze
della Corte Costituzionale italiana (244 del luglio 1996 e 231 del luglio del
2013), in materia di rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro e accesso ai
diritti e agibilità sindacali”.
Si
sono accese forti polemiche sull’ennesimo accordo firmato da Cgil Cisl Uil (le
confederazioni sindacali ormai da definirsi “sindacati di stato e di
collaborazione con i padroni, contro lavoratori e lavoratrici e i diritti
costituzionali di organizzazione nei luoghi di lavoro, anche in altri sindacati
o confederazioni diverse dalle loro), da parte dei loro segretari confederali
nazionali e la Confindustria (associazione datoriale e padronale che
rappresenta il settore privato) il 10 gennaio 2014.
L’Unione
Sindacale Italiana, antica e storica confederazione fondata nel 1912 e ancora
attiva in Italia, fornisce un primo commento e valutazione “politico tecnica”
sintetica, in attesa di produrre un documento analitico e commentato su questo
accordo.
La
prima valutazione è che si tratta dell’ennesimo tentativo da parte delle
confederazioni sindacali Cgil Cisl e Uil, di volersi attribuire una competenza
esclusiva e una egemonia totalitaria in materia di rappresentanza sindacale e
dei criteri di “rappresentatività”, non solo per il rinnovo dei Contratti
Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) delle categorie del settore privato, ma
anche per quelli relativi ai posti di lavoro e alle “unità produttive” sopra i
15 dipendenti.
L’accordo del 10 gennaio riguarda
l’applicazione, alle organizzazioni sindacali aderenti a Cgil Cisl e Uil e alle
altre che hanno dato successiva adesione (di altri sindacati, compresi alcuni
sindacati di base), dei meccanismi già previsti da altri due accordi
interconfederali, quello del 28 giugno 2011 e il “protocollo di intesa” del 3
maggio 2013, che non avevano dato, per coloro che lo avevano sottoscritto,
l’effetto di controllo totale che era sperato. L’accordo del 10 gennaio 2014 è
diviso in 4 sezioni, quello relativo alla “certificazione” della rappresentanza
sindacale nazionale, utilizzando il criterio misto tra il dato associativo
(iscritti con deleghe del contributo sindacale sulla busta paga, certificati
dalle aziende per i propri dipendenti e dall’INPS, il nostro Ente previdenziale
e assistenziale) e il dato elettorale (voti espressi alle elezioni per le RSU
Rappresentanza sindacali unitarie, già previste come regolamentazione da un
accordo interconfederale del 20 dicembre del 1993, già frutto di molte
discussioni sulla sua scarsa democraticità), ponendo la soglia di
rappresentanza nella media tra dato associativo e dato elettorale al 5%
nazionale, per poter partecipare alle procedure di rinnovo dei CCNL. La seconda
sezione è relativa al passaggio dalle rappresentanze sindacali aziendali (Rsa)
che hanno la loro fonte normativa e legislativa nella legge 300 del 20 maggio
1970, ancora in vigore detta “Statuto dei Lavoratori”, legge molto importante
perché è l’applicazione dei diritti e principi della Costituzione repubblicana
e antifascista nei luoghi di lavoro, oggetto per l’articolo 19 nel 1995 di un
referendum popolare in materia di rappresentanza sindacale aziendale. L’Accordo del 10 gennaio 2014, è in
contrasto non solo con la legge 300 del 1970, ma anche con l’articolo 39 comma
1 della Costituzione Italiana (l’organizzazione sindacale è libera…), perché
l’accordo che nella gerarchia delle fonti del diritto in Italia, è subordinato
rispetto alla forza di una legge, quindi Cgil Cisl e Uil vorrebbero obbligare,
anche con sanzioni economiche e l’esclusione dai diritti sindacali già goduti
dalle Rsa, i sindacati non aderenti e lavoratori e lavoratrici ad accettare una
sola forma di rappresentanza, quella che a loro fa più comodo, una rappresentanza
elettiva che ha come fondamento lo stesso della legge elettorale in discussione
nel Parlamento Italiano, detta “Italicum”, che eliminerebbe dal parlamento le
formazioni politiche di opposizione e di minoranza, la stessa logica e
filosofia che è alla base dell’accordo del 10 gennaio 2014 su rappresentanza
sindacale e rappresentatività, cioè l’eliminazione delle opposizioni sindacali
e delle forme di rappresentanza che l’attuale Costituzione disciplina come
scelta libera e autonoma, nell’ambito della legge 300 del 1970, da parte di
lavoratori e lavoratrici, che non necessariamente deve vedere come meccanismo
quello elettoralistico (che prevede comunque 1/3 dei seggi attribuiti già di
diritto a favore di Cgil Cisl e Uil e dei loro sindacati di categoria, a
prescindere dal risultato del voto, alla faccia della democrazia sindacale).
Nella terza sezione di disciplina la
“titolarità” e l’efficacia della contrattazione collettiva nazionale, di
categoria e di azienda, nella quarta sezione sono inserite le disposizioni
relative alle “clausole e alle procedure di raffreddamento e alle clausole
sulle conseguenze degli inadempimenti”, per coloro che non accettino tale
meccanismo totalitario e anticostituzionale, con sanzioni economiche e di
esclusione che non erano mai state inserite nei precedenti accordi a nessun
livello, a carico dei sindacati “ribelli”.
Vi sono poi inserite alla fine dell’accordo
del 10 gennaio 2014, le clausole transitorie e finali, per la corretta
applicazione, nel testo dell’accordo sono riportati i meccanismi delle
procedure elettorali e le commissioni interconfederali (fatte solo da Cgil Cisl
e Uil) per le procedure di infrazione ai sindacati “inadempienti” e nei casi di
interpretazione tra sindacati di categoria per la titolarità alla negoziazione
nazionale.
In
sostanza, un attacco forte alla LIBERTA’ DI ORGANIZZAZIONE SINDACALE IN ITALIA,
un aggiramento delle leggi italiane per tutto il settore privato (per il
pubblico impiego vi sono già norme restrittive simili a queste), un ATTACCO AI
DIRITTI COSTITUZIONALI DI LAVORATORI E DI LAVORATRICI, di scelta della forma
organizzata da darsi nei luoghi di lavoro, nel rispetto che è violato
dall’accordo del 10 gennaio 2014, dei principi della prima parte della Carta
Costituzionale del 1948, agli articoli 2 e 3, all’articolo 39 c.1, ltre al contrasto con due importantissi8me
sentenze dell’organo competente, la Corte Costituzionale, in materia di
rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro (Rsa), la prima del luglio del
1996 n° 244, interpretativa del referendum popolare del 1995 (che un accordo
non potrebbe mai giuridicamente sostituire), la seconda del luglio del 2013, la
n° 231, ottenuta dalla mobilitazione della FIOM sindacato metalmeccanico della
Cgil, che era stato escluso dalla Fiat e che fornisce elementi fondamentali
assieme al resto della giurisprudenza italiana, per contrastare i punti cardine
dell’accordo del 2014 firmato da Cgil, Cisl e Uil. Il contrasto vi è anche per
le sentenze della Corte di Cassazione italiana sezione lavoro, per l’efficacia
dei contratti e degli accordi aziendali,
che attualmente dovrebbero valere solo per i dipendenti aderenti ai sindacati
che li hanno firmati se peggiorativi, l’accordo del 10 gennaio 2014, ne
vorrebbe imporre la validità anche a coloro che non sono iscritti ai sindacati
“di stato” Cgil, Cisl e Uil, ma che hanno magari altre forme di rappresentanza
previste dalla legge 300/1970 e con accordi aziendali migliorativi.
All’interno della stessa Cgil, nella fase
congressuale, si stanno reprimendo l’opposizione del sindacato Fiom e della
“sinistra sindacale”, che ritengono la firma di questo accordo, in violazione
dello stesso Statuto della Cgil in termini di decisionalità e democrazia
interna, oltre alla illegittimità costituzionale per tutti e tutte, elemento
comune di queste componenti con l’analisi fatta dalle stessa Confederazione
USI.
Schiacciata anche l’opposizione interna
alla Cgil, la scelta è di omologarsi a questo meccanismo totalitario e
liberticida (cosa che anche alcuni sindacati di base e autonomi stanno
facendo), oppure organizzarsi e lottare per smantellarne l’impianto generale e
gli effetti penalizzanti.
L’Unione
Sindacale Italiana, indica la seconda opzione come praticabile in
generale.
UN
ASPETTO CHE NESSUN ACCORDO, nemmeno questo,
POTRA’ MAI BLOCCARE E’ IL CONFLITTO, COME ELEMENTO DINAMICO, FULCRO DI
PROCESSI DI EMANCIPAZIONE SOCIALE. LA DIFESA DELLE CONDIZIONI DI LAVORO,
NORMATIVE E DEI DIRITTI SINDACALI, PASSA PER LO SVILUPPO DELLE LOTTE. ORA E
SEMPRE RESISTENZA.
Segreteria nazionale generale della
Confederazione USI Unione Sindacale Italiana
Italia,
Roma 3 febbraio 2014
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